lunedì 3 febbraio 2014

VITO ACCONCI Innesti di Architettura



Qualche giorno fa mi è stata posta una domanda che conteneva una preziosa possibilità: se avessi l’opportunità di conoscere due architetti, chi sceglieresti?

Questo è accaduto all’interno del seminario “Linee di Ricerca”, tenuto dal Prof. Arch. Antonino Saggio, responsabile del Dottorato di ricerca in “Architettura. Teorie e progetto” (Facoltà di Architettura de La Sapienza di Roma), cui sono iscritta.

La prima scelta, motivata attraverso il post TRANSIZIONI Dalle geografie del disagio ai contenitori di memorie, è stata lo Studio Terragni Architetti, mentre la seconda è: Vito Acconci (New York, 1940), architetto/artista.

Personalità poliedrica, dopo gli studi di letteratura e l’inizio della sua carriera come poeta, negli anni Sessanta si avvicina al mondo dell’arte contemporanea divenendo con gli anni uno degli esponenti principali della corrente artistica della Body Art. Famosa la sua performance Trademarks (1970) nella quale morde tutte quelle parti del suo corpo raggiungibili dalla bocca, oppure Following Piece (1969) durante la quale sceglie una persona a caso e la segue fin al momento in cui questa non entra in un posto privato o comunque inaccessibile per l’artista, solo per fare degli esempi. La sua sperimentazione in campo artistico approda poi alla Video Art, per giungere, infine, a sperimentare il rapporto dell’uomo con la tecnologia che egli intende come una seconda pelle.

Vito Acconci, Following Piece, 1969 - performance

La curiosità nei confronti del lavoro di Vito Acconci nasce da tre ordini di motivi.

Il primo riguarda l’unione tra arte e architettura, ovvero come questo contatto possa avvenire e con quali forme si presenti ai nostri occhi. Vito Acconci infatti è una figura che “corre sul filo” delle due discipline, non è una architetto per formazione, ma lo diventa attraverso i lavori condotti a partire dagli anni Ottanta:«Durante gli anni Ottanta mi resi conto che il mio lavoro stava cambiando, andava verso un’altra direzione, verso cose, spazi e luoghi che potevano essere utilizzati dalla gente, e dissi a me stesso che il problema non riguardava più l’arte, ma l’architettura. Alla fine degli anni Ottanta fondai l’Acconci Studio, che è cominciato, e lo è ancora, come una realtà costituita da un gruppo di persone che lavorano insieme. Tutti i suoi componenti, a eccezione di me, sono architetti o hanno un background da architetti»[1].

Proprio nel 1988 fonda a New York Acconci Studio, un think-tank in cui fa convergere architettura, arte, allestimenti, progettazione urbana e del paesaggio.

La seconda ragione riguarda la sua concezione dell’architettura come corpo vivente.

« […] noi pensiamo che l’architettura inizi con il corpo. L’abito è la prima architettura: la pelle copre lo scheletro, quindi gli abiti possono coprire la pelle»[2]. Con questa sorta di sillogismo, Vito Acconci ci indica la possibilità che l’architettura possa essere involucro del corpo umano, una sua estensione.

E infine, il terzo motivo, strettamente connesso con la seconda argomentazione, è la sua personale visione del futuro legato al computer, considerato quale spazio di unione tra pubblico e privato.

«Un altro indizio del futuro è il computer, oggigiorno lo strumento più importante, che rappresenta uno strano mix: a prima vista è così privato, ma al tempo stesso, per l’uso che ne facciamo, è totalmente pubblico. Il mix tra pubblico e privato è probabilmente quanto accadrà in futuro. Sì, può esserci questa sfera privata, una sorta di capsula che potrebbe permetterci di fare più cose. […] è certo che il nostro corpo sarà sempre più un miscuglio di umano e di robotico.»[3].

Tra le opere di architettura realizzate da Acconci Studio c’è Mur Island, a Graz (Austria), nel 2003. Quest’opera non è un semplice ponte che collega le due rive del fiume Mur che attraversa la città, è anche una piazza, spazio pubblico, luogo di incontro, svago e cultura. Lo slogan che accompagna questo progetto è “A bowl that morphs into a dome that morphs into a bowl…”[4]. La “ciotola” è lo spazio che ospita un piccolo auditorio in occasione di eventi, oppure un semplice luogo per lo stare, proprio come fosse una piazza; la “cupola”, invece, è un bar/ristorante.
Acconci Studio (V.A., Dario Nunez, Stephen Roe, Peter Dorsey), Mur Island, Graz, 2003
Il progetto Swarm Street (Indianapolis, 2012) è un percorso che attraversa il Virgina Avenue Garage, completamente rivestito di luci a LED integrate con sensori che si attivano al passaggio delle persone che vi camminano attraverso, generando quello “sciame” che dà il nome al progetto.
Acconci Studio (V.A., Nathan DeGraaf, Jono Podborsek, Eduardo Marques, Ezio Blasetti),
Swarm Street, Virgina Avenue Garage, Indianapolis, 2012





1, 2,3 Massimiliano Scuderi, L’architettura inizia con il corpo, intervista realizzata per Flash Art n.286 agosto - settembre 2010

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